Mi sveglio all’alba all’interno della mia piccola tenda con la luce che passa attraverso la sottile ma robusta copertura. La sensazione è di essere coccolata, avvolta da grosse braccia che mi proteggono, come quando da bambina i miei genitori mi abbracciavano per tranquillizzarci. Un abbraccio che soffoca i rumori, quieta le paure da
forza e coraggio.
Oggi l’alba è anticipata da una luce rosea capace di smussare le imponenti cime, donando al paesaggio circostante un aspetto più dolce e avvicinabile. Il tempo è bello, si può uscire, portare il materiale al campo superiore, insomma procedere piano piano verso quella che sarà destinazione finale: la cima.
Tutto è vivo nelle giornate di bel tempo, ogni cosa risponde attivamente agli stimoli della natura e all’energia creata dal sole. C’è movimento attorno, voglia di muoversi, di spostarsi, di comunicare.
La montagna però cambia, può avere diverse facce, trasformarsi velocemente, diventare dura, addirittura ostile.
Sono questi i momenti in cui ti senti solo, abbandonato, lontano dal mondo.
Non siamo più abituati a rimanere soli; abbiamo continuamente bisogno di camuffare la nostra solitudine appellandoci al social network, alle moderne forme di comunicazione che ci illudono, di essere vicini, anche se in realtà ci allontanano sempre di più dalle cose semplici e reali.
La montagna è solitudine, è ricerca personale, è sfida con sé sessi, è coraggio di continuare o di fermarsi.
La cima è solo un pretesto, un obiettivo da raggiungere che spesso nasconde il senso vero di un’esperienza alpinistica: scoprirsi , crescere, maturare, diventare persone migliori che non vuol dire essere i migliori.
E’ questo il motivo per cui ho sempre voglia di ritornare, di scalare una nuova vetta, di mettermi in gioco, di faticare.
Questo per me è viaggiare, questo per me è l’alpinismo.
I wake at dawn inside my little tent as the light passes through the thin but strong fabric. It feels like I’m being hugged—enveloped by big arms that protect me, like when I was a child and my parents held me to comfort me. A hug that suppresses noise, quiets fears, and imparts strength and courage.
Today a rosy light announces the arrival of dawn, softening the imposing peaks and giving the surrounding landscape a sweeter and more approachable appearance.
The weather is good, and we can set out, carrying equipment and supplies to the upper camp—moving step by step toward our final destination: the summit.
Everything is alive when the weather is good. Everything responds to nature’s stimuli and the sun’s energy. There is movement—the desire to be active, to hit the trail, to communicate.
But the mountain changes. It can have different faces, transforming quickly, becoming hard, even hostile.
These are the moments when you feel alone, abandoned, far from the world. We aren’t used to being alone anymore. We always need to conceal our solitude by turning to social networks, to the modern forms of
communication that deceive us into thinking that we’re close, even if in reality we are continually distancing ourselves from the things that are simple and real.
The mountain means solitude, a personal search, a challenge to oneself, and the courage to keep going or to stop.
The summit is only a pretext, an objective that often hides the true significance of a mountaineering experience: discovering oneself, growing, maturing, becoming a better person.
This is why I always want to come back, to climb a new peak, to put myself to the test, to exert myself.
This, for me, is the journey. This, for me, is mountaineering.
Experience by Elena Spalenza