“Dai scrivi!”. E’ il brevissimo messaggio del Ferro a dare il via alle danze.
Sono in difficoltà. Per la prima volta non trovo le parole. Non so da dove iniziare. Non ho un molo da cui salpare. L’onestà del momento mi dice che non so neanche dove voglio arrivare. Navigo senza una mappa. Sono un naufrago che cerca un’isola. Forse sto solo mentendo a tutti. Ho un’isola piena di tesori che voglio tutta per me. L’alpinista è per natura egoista.
Potrei raccontare di una piccola salita alla Pietra di Bismantova. Potrei dire che cinque lunghezze ci hanno richiesto più di dieci ore per essere superate. Ma improvvisamente ho paura. Mi sento incapace di raccontare emozioni. Descrivere la corda che ci ha unito, non è facile.
Pagina sessantotto della guida del Righetti, il nostro diario di bordo. Le date, scritte con una mano tremolante a fianco delle relazioni, sono l’unica cosa che scandisce il tempo del nostro esplorare queste pareti.
L’avventura è fuori di casa. E’ bastata un po’ di sabbia nell’appennino emiliano. Niente viaggi, niente spedizioni, niente sponsor. Piccole idee, un po’ di semplicità e gli amici giusti bastano a colorare le giornate.
La via del Bagnino spaventa tutti quelli che, dal suo attacco, alzano il naso al cielo. Le poche relazioni non lasciano scampo a una magra sentenza: impegnativa e terribilmente friabile.
Il paese dorme ancora quando, con passo lesto, passiamo davanti al piccolo luogo di preghiera che precede le pareti. Ignoriamo con discrezione il cartello di divieto e, in breve, siamo nel cortile privato dell’eremo. Un saio appeso al davanzale di una finestra viene cullato da un leggero vento. Aumentiamo il passo e raggiungiamo l’attacco della via. La falesia della Banana è ancora deserta. Forse oggi tutti penseranno solo a salutare questo 2013 travagliato.
Con noi zaini pesanti. Nel mio ci sono 60 chiodi. Diego ne ha costruiti diversi per lasciarli in parete. E’ la prima volta che ne vedo così tanti insieme. Pesano parecchio. Ai miei compagni non nascondo di essere emozionato. Loro, lo sono altrettanto. Compare davanti a me il 1935. Riccardo Cassin e Vittorio Ratti stanno per attaccare l’Ovest di Lavaredo. Approfittarono della nebbia per non essere visti. Solo i violenti colpi di martello, che risuonavano nella valle, facevano intuire che una nuova pagina di alpinismo sarebbe presto stata scritta. Chissà come andarono le cose qui nel 1980…
Ora c’è il sole e a dirla tutta, anche una gradevole temperatura. Diego sale in fretta i primi metri di erba verticale e inizia a piantare chiodi. Uno dopo l’altro. Lentamente. Molto lentamente a essere onesti. La sistematicità è l’elemento chiave.
Il tempo e le difficoltà perdono il loro significato. Ci risiamo. Anche per questa volta va bene così. Oggi non c’è un record da abbattere o un trofeo da conquistare. Oggi basta convivere con quello che siamo. Con i nostri pregi e con i nostri difetti. Non abbiamo via di fuga. E’ così quando si arrampica. Accettiamo quello che siamo e continuiamo la salita.
Diego impegna due ore per percorrere la prima lunghezza. L’arrivo in sosta è carico di un entusiasmo contaminante. La nostra attesa è già dimenticata, le ore azzerate, i minuti annientati. Saliamo recuperando i chiodi.
La seconda lunghezza è più breve ma non meno impegnativa. La sosta sotto a un tetto ci tiene lontani dal sole, ma ci regala una vista mozzafiato sulle montagne che circondano questo teatro.
Improvvisamente mi sento colpevole. Oggi come non mai vedo i miei limiti. Prendo coscienza di quello che sono. Prendo consapevolezza del sapere che i miei compagni di cordata lo accettano.
La quarta lunghezza viene salita quando ormai le temperature sono scese. Le luci illuminano la piccola contrada di Ginepreto. A pochi metri dalla vetta dobbiamo scendere. Gli amici ci stanno aspettando.
Torniamo la salita la mattina successiva. Appena raggiunta la vetta avverto dentro di me la voglia di gridare. Ma non ho il coraggio di un bambino. Il mio universo colorato resta dentro di me. Ho paura a condividerlo. Imbocco il sentiero di discesa. In silenzio. Il sole è alle mie spalle e la mia ombra precede il passo.
Experience by Matteo Will Bertolotti & i Sass Balòss